CASA MUSEO RENZO SAVINI
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CASA MUSEO RENZO SAVINI

Renzo Savini, l'artefice di questa stupefacente e preziosa miscellanea di manufatti di alto artigianato e reperti naturalistici, non amava essere definito un collezionista. Lui cercava, raccoglieva e spesso immagazzinava il suo raccolto senza la necessità di doverlo esibire all'occhio dell'altro. In letteratura diversi sono i testi incentrati su personaggi che fanno del collezionare una guida fondamentale della loro vita. Kaspar Utz, il protagonista del celebre romanzo di Bruce Chatwin, sin da giovanissimo focalizza in modo esclusivo la sua esistenza nello studio e nell'acquisizione di ceramiche di Meissen, attitudine considerata "perversione" dal suo medico di famiglia. Tutta la sua vita ruoterà attorno a questo amore che lo condurrà a collezionare intere casse piene di queste piccole ceramiche senza verificarne il contenuto, divenendo egli stesso prigioniero della sua immensa raccolta. Collezionare personalmente per lui è dare vita ad oggetti che invece morirebbero in una cristallizzante teca di un museo, "il possesso privato conferisce al proprietario il diritto e il bisogno di toccare ciò di cui pronuncia il nome, così il collezionista appassionato restituisce all'oggetto, gli occhi in armonia con la mano, il tocco vivificante del suo artefice".

 

La collezione conservata in questa abitazione tutta da scoprire, ci ricorda le cinque-seicentesche Wunderkammer diffuse in varie corti di Europa, collezioni di mirabilia, dove gli oggetti ricercati non erano solo manufatti, ma anche elementi prelevati dalla natura, inseriti poi in uno scenario ben articolato. Nel XVI secolo si afferma il principio di collezione con intento enciclopedico, un microcosmo fruibile all'occhio umano, come sono ad esempio i gabinetti veneziani descritti da Marcantonio Michiel o Gabriele Vendramin. Solo nella seconda metà del Cinquecento diventa oggetto di interesse anche l'elemento che desta curiosità e meraviglia, da ricercarsi sia nell'ambito dell'artificio che in quello naturale: nascono così le wunderkammer, espresse nel loro esempio massimo alla corte di Praga per ostinata volontà di Rodolfo II.

 

L'ingresso è su una vasta sala, un grande spazio con ampie finestrature dalle quali gli alberi del giardino si affacciano e ci sono vicinissimi, quasi ad annullare la divisione esterno interno. Il salone è articolato con semi pareti in muratura a vista o in legno o intonacate e dipinte, appositamente pensati per accogliere questa ricca e variegata raccolta, mobili antichi e moderni fungono da supporto e piano scenico per curiosi giocattoli, oggetti in vetro, sculture pregiate e manufatti in terracotta di epoche diverse. I divani Bastiano, ideati da Tobia Scarpa, affiancati dalla Poltrona Sanluca, progettata nel 1960 da Pier Giacomo e Achille Castiglioni, sedute iconiche prodotte dal poliedrico Dino Gavina, e altri oggetti di design presenti, sono emblematici per individuare la sofisticata attenzione, l'occhio sempre attento e vigile del protagonista e artefice di questa dimora. Qui tutto è scrupolosamente originale e conservato nei dettagli, infatti anche la cucina ed i bagni conservano pregevoli piastrelle alle pareti e ai pavimenti, così come i sanitari rosa disegnati da Gio Ponti e prodotti da Ideal Standard (edizione limitata) insieme all'iconica vasca da bagno.

 

Manufatti sospesi nel vuoto, lacerti di bassorilievi rinascimentali sono stati da lui incastonati nelle pareti interne ed esterne. Statue di presepe barocco di Giuseppe Maria Mazza e di Giacomo De Maria, oltre quelle di stilema rococò di Angelo Gabriello Piò, posizionate su grandi e lunghi tavoli le terrecotte di scuola emiliana del Settecento dialogano con anfore e con sculture lignee policrome tardo barocche. Materiali pieni e opachi alternati alle trasparenze dei vetri antichi o di fattura moderna, come il grande lampadario di Venini 1964 "sospensione Poliedri", oltre ai cristalli degli anni '50.

 

I muri supporto hanno ricevuto le medesime accortezze, dipinti con tonalità di colore cremisi, azzurro ceruleo o con cromie verdi e ocra. Giochi di superfici specchianti posizionati in punti focali proiettano luci e immagini replicando senza ripetersi. Lo sguardo del fruitore è in vortice continuo, illusione e realtà sono in costante dialogo e creano un ritmo musicale.
Il "grande Pupo siciliano" del Settecento è sospeso vicino a un putto barocco. Alle pareti icone quattrocentesche, incisioni e disegni tardo rinascimentali e barocchi, vibranti al punto di toglierci il fiato. Un preziosissimo disegno di Alessandro Tiarini attira il nostro sguardo che si incanta percorrendo i suoi fluidi chiaroscuri. Si attraversano le epoche senza provare diacronia: le due preziose quattrocentesche Madonne con Bambino su supporto ligneo, dove ogni dettaglio compositivo è raffinatamente dipinto seguendo principio eidetico, convivono con le tele di Telemaco Signorini, dalle cromie di luce e colore fenomenico, così come quelle di Luigi Serra o quella di Mario Vellani Marchi. Dipinti e sculture preziose dialogano con disegni e incisioni a bulino, grandi scenografie teatrali, giocattoli in latta, legno, plastica o carta. Molto interessante è una preziosa "Piavola de Franza", grande bambola veneziana in legno e cartapesta realizzata nel Settecento con ancora il suo abito, collane, bracciali e il suo bastone da passeggio originali. Su questo manichino ante litteram, come quello esposto a Venezia in occasione della Festa della Sensa, venivano confezionati abiti utili a mostrare i modelli, i tessuti e gli accessori in voga all'epoca alla corte di Francia. Non era solo il manufatto artistico che lo interessava, ma anche semplici oggetti lo colpivano, oppure elementi prelevati dalla natura, in particolare modo le pietre, alla stessa stregua di dipinti, terrecotte, reperti, sculture lignee, capitelli rinascimentali, fiori in carta di antica fattura, bambole, giocattoli.

 

Come già detto, Renzo Savini non si definiva un collezionista, solo i veri amanti dell'arte non usano darsi un'etichetta. A noi posteri definire le cose diventa necessario perché quella ricerca discreta e privata non si perda tra mura pregiate, in assenza del suo regista e artefice che le rendeva sempre vive e in dialogo in una storia dalla narrazione sempre aperta.

 

Tratto dal testo di Maria Katia Tufano

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